Gabriele Galloni
Dal libro “L'ESTATE DEL MONDO”
°
Nel parcheggio del centro commerciale
mi parlasti di certi
giorni d’isole; giorni dall’uguale
passo del mare misurati interi.
Mi raccontasti poi di come aperti
all’onda i cieli aprissero sentieri
mai apparsi prima, neanche agli occhi esperti
dei residenti che alla roccia e al sale
erano familiari.
°
Me ne vado; ma tu sei lontananza
che ritorna. L’eternità felice
del tuo viso indagato controluce –
dalla Magliana vecchia alla mia stanza.
°
Luna di luglio: dalla tua finestra
scoperta di sfuggita sopra il mare.
Per poco, ma l’abbiamo fatta nostra
pensando fosse un fondo di bicchiere.
Luna di mare; ciotole di legno
in fila tutte lungo il davanzale.
Il cielo non si asciuga – intanto
la marea sale.
°
Ma quanto ci ingannammo, sulla Luna.
Chi la credette un foro sulla tela
del cielo; e chi pensò fosse la Luna
l’aurea riserva degli angeli.
°
Ma l’ultima parola sulla Luna
spettò al più piccolo di noi, che disse:
la Luna è questa duna senza attesa
di mare; è l’autostrada che da Piana
del Sole porta fuori le città
di tutto il mondo.
o
I ragazzi alla spiaggia di Focene
insieme incontro all’onda sonnolenta
che ritornando bagna loro il fianco
adolescente. È questa vita, lenta,
la sua illusione qui della durata
eterna. Quando ciò che resta è il bianco
della parete a fine di giornata,
il mese placido, tempo che viene,
i ragazzi alla spiaggia di Focene.
o
Eccoci finalmente all’ultimissima
riva del mondo; vi arriviamo nudi
via terra. Aspetteremo qui la fine
ora che niente abbiamo più alle spalle;
sarà la nostra vita come l’occhio
di un dio cieco – la vita come questo
mare che non sprofonda mai in abisso.
Soltanto c’è da definire i nomi
che nuovi diamo alle cose e ai viventi.
Perché di questo molto ci appartiene;
ci apparterrà per sempre. Dammi un nome –
fai sì che duri in questo e in altri eoni.
Un nome; io farò con te lo stesso.
Non costruiremo mai nessuna casa;
dormiremo tra impronta e impronta sulla
sabbia, lasciando che la pelle faccia
di sé insanabile ferita giorno
dopo giorno. E così via fino all’ultimo
ramo del tempo; fino al giorno in cui
concessa ci sarà un’assoluzione
definitiva da ogni corpo a corpo.
o
Ti chiamerò a distanza di molti anni
e avrò da tempo smesso di sapere.
Dunque non parlerò; e non parlerai
nemmeno tu. Ma tornerà per tutti
e due la prima sabbia; illuderemo
l’età giovane che dorme nei nostri letti.
Condividiamo una identica estate;
diremo un corpo che non è stato mai.
o
È in questa vita un’altra vita nuova
e in questo corpo un altro corpo ancora.
Mi segui fino al bagnasciuga e indietro; affiora
a pelo d’acqua una bottiglia vuota.
È notte, ma la spiaggia è affollatissima;
così che mi è difficile ascoltarti.
Raggiungiamo le dune. C’è un sentiero
dietro il canneto; porta
alla vecchia fabbrica di sapone.
La luce dei falò qui non arriva –
e nemmeno una voce.
Ho tredici anni. E della voce adesso
saprò tutto quello che c’è da sapere; da fare.
Ché in questa vita è un’altra vita nuova
e in ogni corpo un altro corpo ancora.
o
Seguii l’amica dietro la sua casa;
dove a sprofondo la valle arrivava
giù fino ai margini dell’autostrada;
ci inoltrammo nell’erba che più rada
ai piedi tutto il sogno disvelava:
l’amica mi indicò, chiuso da piccole
pietre arancioni, un altrettanto piccolo
mare. Mi disse: guarda la marea,
l’onda che sale.
E rimanemmo lì. “In contemplazione,”
scherzò l’amica. L’acqua alle caviglie.
Più lontano Corviale; il Serpentone.
o
Ma non ho nulla, cielo, da mostrarti.
Ecco: sorprendimi giù a Fiumicino,
tra i Dioscuri e le case popolari;
fa’ ch’io raccolga l’ultima conchiglia
dell’estate, occhi chiari;
e la conservi agli anni in una tasca
così profonda da dimenticarmene.