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Dal libro IN CHE LUCE CADRANNO

 Gabriele Galloni




Dal libro IN CHE LUCE CADRANNO





IN CHE LUCE CADRANNO Gabriele Galloni





Ho conosciuto un uomo che leggeva
la mano ai morti. Preferiva quelli
sotto i vent’anni; tutte le domeniche
nell’obitorio prediceva loro


le coordinate per un’altra vita.
 



°

Ai morti si assottiglia il naso. Quando
li sogni se lo coprono. È normale
vederli a volto coperto passare
dal corridoio al bagno alla cucina







°

I morti – loro, l’ultima
didascalia del mondo
conosciuto – in colloquio
fitto tra un buio di falò e la resina


delle pinete a mare.








°

I morti cagano, pisciano come
i vivi. Solamente che faticano
a rispondere a tutte le domande


che gli vengono fatte. Preferiscono
ricordarsi di un nome,
scomporlo in sillabe, accorgersi che è il loro.









°

Un corpo morto non è abbandonato.
Ignora – è verità – le altre creature;
ignora i diktat dell’eternità.
Ma stanne certo: un giorno tornerà



alla vita e avrà voce di Creatore.






o

I morti tentano di consolarci
ma il loro tentativo è incomprensibile:
sono i lapsus, gli inciampi, l’indicibile
della conversazione. Sanno amarci



con una mano – e l’altra all’Invisibile.








o

I morti hanno fiducia nella sorte.
A notte fonda salgono sugli alberi
del tuo giardino; li trovi che all’alba
non sanno come scendere dai rami.
Li vedi; non ti vedono. Li chiami
e non ti sentono. Li aiuti – scendono.



Ogni notte ritornano e dimenticano.



o

I morti continuano a porsi
le stesse domande dei vivi:
rimangono i corsi e i ricorsi
del vivere identici sulle
due rive. In che luce cadranno
tornati alle cellule.



o

Se la madre dei morti è sempre polvere,
i morti cercano la loro madre




ogni sabato sera sulle spiagge
libere; sotto le sedie o nei gelati




caduti di mano ai ragazzini
in chissà quante estati, in chissà quanti




alberghi, marciapiedi, lungomari.




o

I morti scrivono
infinite missive d’amore.




Le spediscono nelle prime ore
del mattino.